Il 28 febbraio 2024 il Parlamento Europeo e il Consiglio hanno approvato la Direttiva (UE) 2024/825 che modifica le Direttive 2005/29/CE e 2011/83/UE, rispettivamente sulle pratiche commerciali sleali e sui diritti dei consumatori. Tale provvedimento, volto alla tutela dei consumatori per la transizione ecologica, pone un ulteriore freno alle pratiche sleali nonché all’informazione ingannevole in un contesto di contrasto da parte dell’UE al fenomeno del c.d. “Greenwashing”. Con il termine Greenwashing, o ambientalismo di facciata, si intende, infatti, una particolare strategia di comunicazione che mira a mostrare un’immagine dell’impresa ingannevole dal punto di vista ambientale con il fine di occultare gli eventuali effetti ecologicamente dannosi delle attività o dei prodotti della stessa.
Nello specifico, le disposizioni innovative della Direttiva sono volte in primis a proibire le comunicazioni particolarmente generiche o ingannevoli sui temi legati all’ecologia, essendo emerso che il 53,3% delle dichiarazioni effettuate dalle imprese a livello comunitario sulle caratteristiche e sugli effetti dei propri prodotti sull’ambiente appaiono vaghe, fuorvianti o infondate. Ebbene, dal momento che, ai sensi della normativa europea, l’eventuale ingannevolezza della comunicazione è da valutare caso per caso, la Direttiva in esame ha aggiornata la black list relativa all’elenco di condotte che vengono considerate, a priori, pratiche commerciali ingannevoli, inserendo, altresì, un’ulteriore lista di pratiche commerciali riconducibili al fenomeno dell’ambientalismo di facciata.
Sulla base di tali novità saranno, pertanto, vietati i claims generici, ovvero non inclusi in un marchio di sostenibilità e non specificati in termini chiari ed evidenti. E, in particolare, con riferimento all’etichettatura dei prodotti, la normativa ora impone una più chiara e affidabile comunicazione vietando espressioni eccessivamente generiche come “rispettoso dell’ambiente”, “rispettoso degli animali”, “verde”, “naturale”, “biodegradabile”, “a impatto climatico zero” o “eco”, laddove queste non siano state preventivamente accertate nella loro veridicità.
Potranno, dunque, essere autorizzati solo marchi di sostenibilità basati su sistemi di certificazione approvati o creati da autorità pubbliche e, pertanto, per l’esibizione di marchi di sostenibilità dovrà essere utilizzato un marchio approvato dalle Pubbliche Autorità o sulla base di un sistema di certificazione fondato su uno standard il cui rispetto deve essere oggetto di specifica valutazione da parte di un terzo tanto con riguardo al titolare dello standard quanto all’operatore che vanta la certificazione. Alla luce di quanto disposto dalla Direttiva risulta, altresì, di primaria importanza, la lotta alla contraffazione dal momento che tale pratica impedisce di garantire la qualità o l’ecosostenibilità del prodotto in virtù dei minimi costi di produzione.
Un ulteriore condotta anti-ecologica che la Direttiva in parola ha inteso vietare riguarda l’obsolescenza programmata, ovvero la pratica con cui le aziende rendono deliberatamente inutilizzabile un prodotto entro un certo periodo di tempo imponendo, così, al consumatore di sostituirlo prematuramente e determinando inevitabilmente un aumento del consumo e, dunque, un maggiore inquinamento. Per tali ragioni, anche le informazioni sulla garanzia dovranno essere rese maggiormente visibili e si dovrà, inoltre, accentuare la pubblicità dei prodotti con un più ampio periodo di garanzia. Le nuove disposizioni pongono, pertanto, il divieto alle infondate indicazioni sulla durata dei prodotti, ai diretti o indiretti inviti a sostituire i beni nonché alle false dichiarazioni sulla riparabilità degli stessi.